Favole da un altro pianeta

2 Maggio 2009 0 Di thomas

Salivano le scale uno dietro l’altro, con una calma più simile alla stanchezza che alla tranquillità tipica di chi non ha fretta; davanti stava il vecchio, che procedeva con passo strascicato ed incerto – lui, forse, era stanco davvero – uno scalino più in basso il bimbo, le cui gambe vivaci erano trattenute e frenate da un sentimento strano.
Eh, sì! Avrebbe potuto, volendo, divorare con pochi agili balzi la ripida salita a chiocciola che stavano percorrendo; durante il giorno era il suo gioco preferito, ma di sera… di sera no, non ci riusciva; un atavico senso di rispetto gli impediva di sorpassare suo nonno, forse perché, in cuor suo, provava pena per quelle gambe magre e tremolanti, ancora così composte nell’incedere, come se, a dispetto dell’invecchiamento fisico, fossero rimaste vive ed incredibilmente illese l’educazione del gentiluomo e la sobrietà della sua andatura.
Ma, benché si sentisse un po’ sopraffatto da quella figura carismatica e paterna al tempo stesso – tanto che si era rinchiuso con aria ridicolmente seriosa, in un silenzio quasi immusonito – il piccolo non aveva dimenticato la promessa che gli era stata fatta.
– Nonno?
– Sì? – rispose il vecchio in un mugolio.
– Oggi è sabato. Sabato sera.
– Lo so, e come ogni sabato sera sei stato in piedi più del solito, ora però tua madre mi ha chiesto di accompagnarti a nanna, e mi sembra che abbia ragione, no? E’ tardi.
– No, non mi riferivo a questo! – esclamò il bambino, sorridendo e domandandosi se l’ingenuità che il nonno stava mostrando fosse vera o magistralmente simulata.
– E a cosa allora? – chiese il vecchio, inarcando le sopracciglia con l’aria di chi cade dalle nuvole.
– L’altro giorno – replicò il piccolo con un tono tra il rimprovero ed il capriccio – mi hai promesso che questa sera, per farmi addormentare, mi avresti raccontato una storia paurosa!
– Oh, dài! Lo sai che poi fai brutti sogni! L’ultima volta che te ne ho raccontata una, ti sei svegliato in piena notte, strillando come un pipistrello!
– No, non è vero! Dài, raccontamela! Ti prometto che non sognerò, lo giuro, lo giuro!
Il vecchio sorrise nascostamente nel vedere il nipotino che, attaccatosi al suo maglione, lo supplicava saltando su e giù ed improvvisando giuramenti tanto solenni, quanto privi di senso:
– Non farò arrabbiare la mamma per una settimana, non farò chiasso durante il pomeriggio così potrai riposare, prenderò dieci in matematica, farò il buono, farò…
– Va bene, va bene – lo interruppe il nonno inteneritosi – vada per la storia paurosa, non troppo lunga però!
– Sì, sì! Evviva! Grazie, nonno, grazie!
Trasportati dal discorso e dalla ora irruente vivacità del bimbo, i due erano giunti nella piccola camera da letto, il cui arredamento, semisommerso dalla voluminosità di un gran numero di giochi, sarebbe risultato difficilmente distinguibile all’occhio di chi stesse vedendo quella stanza per la prima volta. Ma tra tutti quegli enormi pupazzi di peluche, tra tutte quelle scatole di meccano, astronavi e soldatini, ad un solo privilegiato era concesso di fare compagnia al bimbo durante la notte: Giogioi.
Era un piccolo e buffo ranocchione di gommapiuma, dal sorriso ebete e privo di un occhio (mutilazione che era probabilmente il ricordo di qualche antica guerra con il suo padroncino), che, poiché depositario dell’onore di essere stato primo gioco del bimbo, era considerato – non solo dal suo proprietario, ma da tutta la famiglia – alla stregua di un essere vivente.
Anche il nonno, sempre così serio e taciturno, burbero ma buono, fingeva con rassegnata pazienza, per non indisporre il nipotino, che Giogioi fosse vivo, e, anche se, a dir la verità, si sentiva un po’ stupido quando lo faceva, non raramente rivolgeva la parola al pupazzo:
– Forza, Giogioi – gli disse anche quella sera, ponendolo accanto al bimbo già infilatosi sotto le coperte – ora bisogna fare la nanna!
– Nonno, e la storia paurosa? – chiese il nipotino, temendo che il vecchio si fosse di nuovo dimenticato della sua promessa.
– Va bene, va bene! – esclamò egli fingendosi seccato, mentre in realtà, in cuor suo, si sentiva felice quando si concedeva un momento d’intimità con il bimbo – ma, attento! La storia che ti sto per raccontare fa molta, molta paura; poi non dire che non ti avevo avvertito!
Il piccolo, soltanto nell’udire questo avviso si sentì già scosso da qualche brivido; sapeva che il nonno quando raccontava, riusciva veramente a turbarlo, se lo voleva!
Per nascondere questo suo primo tremore decise allora di assumere un atteggiamento tra il serio e lo spavaldo, quasi a mo’ di sfida: stavolta avrebbe dimostrato che era ormai abbastanza grande da resistere a qualsiasi paura!
Ma pensando queste cose, inconsciamente, cominciò a stringere più fortemente a sé il morbido Giogioi.
Il nonno cominciò:
– Ti narrerò la vita di un uomo…
– Un…un uomo? – balbettò il bimbo.
Sì, un uomo! – ripetè con voce tenebrosa l’improvvisato narratore, tirando a sé una sedia ed accomodandovisi sopra lentamente.
C’era una volta un uomo a cui piaceva molto fare denaro.
Da giovane gli era piaciuta molto la musica, tanto che aveva passato anni a suonare sulle navi da crociera, poi però aveva scoperto di essere molto più bravo a guadagnare.
Non si sa come, un giorno ottenne tanti soldi e riuscì a costruire tanti palazzi fino a creare una città nella città e a fare amicizia con tanti uomini importanti.
Divenne ricco, anzi ricchissimo, anzi il più ricco di tutti. Cominciò a comprare tutto ciò che gli capitava a tiro: giornali, televisioni, squadre di calcio, assicurazioni, ipermercati… tutto!
Un giorno, poi, l’uomo decise di occuparsi di politica e chiese al popolo di votare per lui; la gente pensò “se è così bravo a fare soldi per sé riuscirà certamente a far guadagnare anche noi” e lo elesse senza pensarci due volte. Divenuto il capo, egli cominciò a inventare leggi strane per evitare che i capi venissero puniti se facevano qualcosa di male; poi volle che i ricchi non pagassero molte tasse.
Inoltre ordinò a tutti i giornalisti di dire solo quello che voleva lui (ma tanto alcuni già lo facevano).
Infine si alleò con un altro capo a cui piaceva molto far la guerra e conquistare gli altri paesi, allora…

Il bimbo fino a quel momento era rimasto sotto le coperte, cercando invano di nascondere il terrore che quella storia gli stava procurando, ma a questo punto crollò:
– Basta nonno! Basta, ti prego! Non la voglio più sentire questa storia! Basta, basta, ho sonno, voglio dormire!
– Va bene, allora basta – replicò con voce calma il vecchio, trattenendo a stento un sorriso – Ecco, abbraccia Giogioi e dormi…
– Nonno?
– Sì?
– Ma esistono davvero gli uomini?
– Ma cosa dici, è solo fantasia! Dormi adesso – disse il vecchio, non riuscendo stavolta a non sorridere – ci vediamo domani, buonanotte.
Restò ancora un po’ al buio nella camera del bimbo, ridacchiando e pensando a quanto avevano fatto paura a lui, da piccolo, le storie sugli uomini.
– Gli uomini – disse tra sé, guardando dalla finestra il cielo notturno tempestato di luci – chissà… forse esistono veramente… Magari abitano lì, su una di quelle stelle, ed un giorno verranno ad invadere il nostro pianeta… Oh, ma cosa vado a pensare! – disse a bassa voce, sorridendo e scrollando le spalle – Piuttosto, sarà meglio che vada a dormire anch’io, alla mia età sarà bene non stancarsi troppo…
Prima di andarsene si avvicinò al letto del nipotino; stava dormendo profondamente, aveva dimenticato in fretta la storia paurosa di poc’anzi.
Il vecchio cercò di resistere alla tentazione, ma non ci riuscì; l’affetto che provava per quel piccolo scavezzacollo vinse su quell’istintiva ritrosìa mista a pudore, che gli veniva dettata dall’età.
– Ma sì, tanto sta dormendo, non può vedermi – pensò.
Si chinò sulla piccola fronte e la baciò lievemente.
– Buonanotte figliuolo mio – mormorò – e… Mi raccomando! Non fare brutti sogni…

©Thomas Pistoia

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