Una Notte con Gongolo
12 Novembre 2009La camera si era riempita di fumo e sembrava fosse lì lì per cominciare a tossire, soprattutto quando piccole nubi – a banchi – erano sbucate dalla penombra per andare ad accarezzare la corona di luce dell’abat-jour.
Nessun problema, si era detta la donna.
Nessun problema, aveva pensato lui.
Ma si erano ingannati entrambi, forse un po’ stupidamente.
Non era facile prendere l’iniziativa. Nessuno dei due aveva il coraggio o il pudore di fare il primo passo.
Lui era uno che aveva studiato, che aveva letto molto, di tutto. E ricordava che in molto romanzi le prostitute erano spesso definite con una frase che più o meno era sempre la stessa: “donna dal viso segnato, sfiorito”.
Ma allora perché lei era così bella ?
Bionda, mediamente alta, procace ma non in maniera esagerata… proporzionata.
E non si era ancora spogliata, ma i suoi vestiti – per ragioni ovviamente, avrebbe detto così, professionali – erano talmente attillati, scollati, trasparenti, che guardandola si indovinava tutto.
Lui sentiva di conoscerlo già, quel corpo. A menadito.
Non parlavano però, perché c’era ancora quel maledetto imbarazzo, quella situazione anche un po’ ridicola per lei, che non aveva letto molto nella sua vita, ma chissà quando e da chi, aveva sentito molte chiacchiere sull’esagerata lunghezza del pene di quelli come lui.
A pensarci, le veniva qualche volta da sorridere, ma si tratteneva, aveva timore di offenderlo.
Così, fino a quel momento, non avevano fatto altro che fumare ed osservare ogni tanto, di sfuggita, i muri di quella camera di motel un po’ spoglia, con la tappezzeria sollevata in più punti, che pareva quei fiori disegnati volessero appassire, come fossero veri, da un momento all’altro.
E lei a tratti si sorprendeva a giocherellare con le dita dalle unghie lunghe ed esageratamente smaltate, tra i fili della coperta del letto sul quale si era seduta.
Lui, invece, strofinava con la suola delle scarpe un frammento del pavimento in cui la mattonella era rotta, e lasciava scivolare la punta del piede in quella minuscola voragine, come a voler tentare di entrarci tutto lì, in quel centimetro quadrato.
Spensero le sigarette contemporaneamente e le loro mani si sfiorarono sul bordo di quel vecchio posacenere sponsorizzato dalla Cinzano. Fu quella la scusa che li fece cominciare.
– Come sarà con lui ? – si chiese la donna, e si sorprese. Era una domanda che , prima d’allora, non si era mai fatta con nessun altro.
E il suo pene non era enorme, no, semmai un po’ tozzo, a suo modo virile. Lo tenne in bocca e tra le mani a lungo, come volesse studiarlo, provare se fosse o no diverso da quello degli altri.
Lui fu delicato, dolce, addirittura un po’ timido quando scivolò dentro di lei. La abbracciò come volesse cullarla, e le accarezzò spesso i capelli con fare quasi paterno.
Mentre le affondava il viso tra i seni, la sua chioma nera e crespata esplorò costellazioni di efelidi ancora vergini.
E fu uomo. Né più né meno di un uomo.
E lei fu donna. Lasciò che egli facesse pressione con i piedi sulle sue ginocchia per darsi la spinta, e lo accolse dentro di sé dimenticando con chi stesse facendo l’amore. Fino alla fine.
Fu solo quando lui cominciò a rivestirsi infatti, che lei riprese coscienza di quella situazione particolare. E le venne voglia di prenderlo in giro. Non per cattiveria, ma per conoscerlo meglio, davvero, per studiare la sua reazione.
Cominciò piano a filastroccare:
– Eolo, Pisolo, Mammolo, Brontolo, Dotto, Cucciolo… e poi ? Chissà perché me ne manca sempre uno!
Lui si voltò e le sorrise.
– Tutti e sette non li so neanch’io – disse, e risero entrambi.
Lei avrebbe voluto chiedere, indagare, stuzzicarlo ancora, capire come fosse la sua vita, la vita di un nano. Ma non c’era tempo. Lui stava andando via probabilmente per sempre.
E al momento di uscire, Gongolo, con discrezione, lasciò qualche banconota sul tavolino, poi, prima di aprire la porta, si voltò a guardarla per l’ultima volta.
La salutò.
– A proposito, come ti chiami? – disse, quando ormai era al di là dell’uscio.
Lei rispose come rispondono tutte quelle che fanno il suo mestiere:
– Come vuoi tu, caro…
Lui sorrise con una sigaretta tra i denti e la mano ancora aggrappata in alto, là, sulla maniglia.
– Biancaneve – mormorò.
E si chiuse la porta alle spalle.
©Thomas Pistoia
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