Y.K.C.I.R.

6 Ottobre 2009 2 Di thomas

Solitudine.

Una mano gelida che gli accarezzava l’anima, impugnando l’ago sottile dei ricordi.

E le domande che gli martellavano nella mente: dove mi trovo? Perché mi hanno portato qui? Dov’è Lisa?

Stava vagando da ore. Il lungo serpente d’asfalto che attraversava la vallata era piatto, immobile, sempre uguale. Lungo i suoi fianchi si estendeva, triste e monotona, l’arida prateria autostradale, priva di alberi, cosparsa di rovi, strangolata da un vento afoso che spandeva senza sosta nell’aria l’odore amaro della terra bruciata dal sole.

Più della fame e della sete, più della stanchezza e dell’incapacità di comprendere come tutto potesse essere accaduto, ciò che davvero lo tormentava era proprio quella sensazione di piccolezza, di impotenza, il sentirsi la minuscola particella di quel luogo così vasto ed ignoto, il rendersi conto di una verità che era inutile nascondere a se stesso: si era perso.

Non conosceva quei luoghi, non aveva la minima idea di come tornare a casa, sapeva soltanto che, se non fosse riuscito a ritrovare la strada, Lisa sarebbe rimasta sola per sempre.

Cercò di spiegarsi per quale motivo lo avessero voluto ingannare; non aveva fatto mai del male a nessuno, si era sempre comportato bene sia verso Lisa – che lui amava alla follia – sia verso le persone a lei care.

Perché allora portarlo laggiù? Perché allontanarsi senza di lui?

Li aveva rincorsi, chiamandoli a lungo, ma sembrava non lo udissero più, come se si fossero all’improvviso dimenticati di lui, della sua esistenza.

E adesso era lì, smarrito, solo, senza nemmeno una vaga idea di dove si trovasse; era lì che camminava come un automa, meccanicamente, arrancando sull’asfalto incandescente, alla ricerca di qualcuno o qualcosa che potesse aiutarlo a tornare dalla sua Lisa.

Nessuno.

Non si vedeva anima viva e le auto che spesso gli passavano accanto andavano troppo veloci per accorgersi di lui.

Non aveva altra scelta, doveva continuare a camminare sperando nella fortuna; fermarsi avrebbe significato crepare soffocato dal caldo e dall’arsura ad un lato della strada.

Lisa! Dov’era Lisa? Perché non veniva a cercarlo? Forse era in pericolo e lui, da così lontano, non avrebbe potuto aiutarla.

Il pensiero di lei da sola, alla mercè di ogni possibile insidia, lo spingeva a procedere più velocemente, ma i muscoli, dopo tante ore di cammino sotto il sole, cominciavano a fargli male; come se non bastasse, il demone che lo inseguiva dalla mattina non accennava a lasciarlo in pace.

La Solitudine gli camminava accanto, accarezzandolo continuamente con il suo ago crudele, rendendo il dolore dell’anima più insopportabile di quello del corpo. Per quanti sforzi facesse, non riusciva a liberarsi di lei; come avrebbe potuto d’altronde non sentirsi solo, ora che stava rischiando di perdere la sua bambina per sempre?

E la Solitudine, beffarda, crudele, affamata, si nutriva dei suoi ricordi: le immagini gli scorrevano nella mente come una vecchia pellicola attorno alla bobina, facendogli rivivere momenti felici che forse non sarebbero tornati mai più.

Eccolo mentre gioca a palla con Lisa, mentre corrono insieme nel giardino della loro casa e saltano, scherzano…

Ma… Mio Dio! Lisa è inciampata ed è finita lunga e distesa per terra, speriamo non si sia fatta male! Ma no, no, sta già sorridendo e si è aggrappata con le braccine al suo collo, per risollevarsi!

Meno male, gli aveva fatto prendere una prendere una paura!

Ora però basta giocare; all’improvviso è diventato tutto buio (come nella realtà. Ma da quante ore stava camminando?), è il momento di andare a nanna. Com’è bello dormire accanto a Lisa e sentire il suo respiro tranquillo dare ritmo al silenzio della notte!

No, non poteva perdere la sua piccola amica, l’unica felicità, la sua sola ragione di vita! E più ci pensava, più il suo corpo massacrato dall’estenuante fatica del cammino produceva energia; sì, l’avrebbe ritrovata ad ogni costo!

Sto arrivando, Lisa. Resisti, non aver paura, sono qui!

Ma cos’è questo

BAGLIORE

BAGLIORE

BAGLIORE

Una fitta atroce gli attraversò velocissima tutto il corpo. Un fulmine.

-Lisa–

Poi la sensazione di volare e la pesante ricaduta sull’asfalto.

-Lisa-

Neanche il tempo di urlare.

-Dolore-

Un velo di buio sugli occhi, poche manciate di secondi gli sembrarono un’eternità, poi… Come un senso di stanchezza, niente più dolore, niente più solitudine, di reale soltanto la certezza che Lisa sarebbe davvero rimasta sola per sempre.

Fu come se si addormentasse: gli occhi si chiusero lentamente e d’incanto Ricky non c’era più…

Non fece nemmeno in tempo ad udire il breve dialogo tra la donna allarmata e i’uomo, sceso dall’auto per controllare che il paraurti non fosse ammaccato:

– Dio mio, cos’è stato?

– Ma niente! Ho solo investito uno stupidissimo cane!

 

©Thomas Pistoia

N.B. Vietata ogni riproduzione anche parziale senza la citazione del nome dell’autore.